Onorevoli Colleghi! - Come è noto il prodotto interno lordo (PIL) è l'indice della produzione complessiva dei beni e dei servizi venduti sul mercato. Il PIL non è una misura del benessere (e nemmeno del reddito) di un Paese o di una comunità, piuttosto una misura dell'attività economica complessiva. È un indicatore quantitativo. Lo si compara nel tempo, quale percentuale maggiore o minore rispetto a un periodo precedente, come previsione di crescita o di decrescita. Lo si compara con altri Paesi o comunità, se cresce di più o di meno. Lo si relaziona al deficit. Esso svolge varie funzioni nell'immaginario, nella comunicazione, nelle scelte individuali e collettive dei decisori economici, nelle scelte delle istituzioni pubbliche, nella regolazione delle relazioni fra istituzioni. Il PIL ha, particolarmente in Europa, decisive funzioni per le politiche dei governi.
      Sono altrettanto noti, da tempo, i limiti «informativi» del PIL, talora gli errori che comporta, le distorsioni nella comprensione dell'economia e della società, della vita delle persone e delle relazioni sociali. Il PIL non sottrae il deprezzamento del capitale prodotto, il PIL non considera l'impoverimento del capitale naturale, il PIL indica beni e mali, servizi utili e inutili purché prodotti e venduti, il PIL misura insieme e allo stesso modo prodotti che hanno effetti opposti e prodotti che si distruggono vicendevolmente (gli autoveicoli e gli effetti degli incidenti stradali, le mine e lo sminamento), il PIL misura come voce attiva il consumo di risorse (anche quelle, tante, finite o in via di esaurimento), il PIL include le armi, il PIL trascura ogni servizio o transazione gratuiti, il PIL include le spese «difensive» (le spese per sanare gli effetti dell'inquinamento, ad esempio), il PIL non valuta danni ed effetti di lungo periodo, il PIL non dice se il prodotto serve bisogni che sono anche diritti (cibo, medicine, vestiti) per chi non ne ha abbastanza, il PIL ... si potrebbe continuare a lungo. E, infatti, cresce l'opinione di chi ne contesta radicalmente l'uso (ogni uso) ed è unanime l'opinione di delimitarne

 

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drasticamente significati e usi, abbattendolo almeno come «mito».
      La proposta di legge in esame intende cominciare a tradurre nella pratica alcune di queste opinioni. D'ora in avanti, bisognerebbe accompagnare il numeretto del PIL con una parentesi dove lo stesso «prodotto» assume anche un profilo qualitativo, indicando quanta parte del PIL di quel periodo corrisponde a beni e a servizi coerenti con l'obiettivo dello «sviluppo sostenibile». Non un valore alternativo, non un indicatore sostitutivo.
      Da molto tempo gli economisti riflettono sulle contraddittorie e complicate relazioni fra PIL e occupazione, fra PIL e produttività, fra PIL e mercato, fra PIL e povertà, fra PIL pro capite e ricchezza pro capite. E da decenni si ipotizzano e si sperimentano indici qualitativi di benessere economico (l'ISEW ad esempio), PIL cosiddetti «verdi» (in Cina, ad esempio), aggiustamenti del PIL (valorizzando il lavoro domestico, contabilizzando sperequazioni sociali, eccetera). Oppure vengono fissati indici nuovi in sedi internazionali (pensiamo all'ONU e, sotto svariati punti di vista, all'Unione europea). Il più famoso indice alternativo di benessere è l'indice di sviluppo umano (Human Development Index, HDI) che è utilizzato dall'ONU nel suo Rapporto annuale e costruito sulla base di tre indicatori relativi alla speranza di vita, al grado di istruzione e alla media del PIL pro capite.
      È opportuno riflettere sul «sistema PIL» e introdurre una organica riforma qualitativa a livello europeo e multilaterale.
      Non lo si può fare ora, per legge, in un singolo Paese. Piuttosto è possibile, forse non più rinviabile, proporre e realizzare un indicatore complementare, però certo e obbligatorio.
      Nessuno può mettere in dubbio, oggi, la necessità di prendere seriamente in considerazione il problema dello sviluppo «sostenibile»: di uno sviluppo, cioè, che partendo dalla considerazione del carattere «finito» delle risorse, si pone responsabilmente il problema di una utilizzazione al presente di tali risorse in modo da non pregiudicarne la disponibilità anche da parte delle future generazioni. Obiettivo della presente proposta di legge è proprio quello di sperimentare una diversa misurazione dei beni e dei servizi che entrano a fare parte del PIL, attraverso l'adozione di indici di carattere ambientale volti a verificare qualitativamente la loro sostenibilità per l'ecosistema.
      Si intende attivare uno strumento, il PILA, inteso come prodotto interno lordo valutato dal punto di vista della sostenibilità ambientale, da mettere a disposizione principalmente del Governo e del Parlamento - ma anche dei cittadini e delle imprese - per consentire, una volta entrato a regime, la comparazione delle utilità e dei costi connessi alla valorizzazione o alla compromissione delle diverse componenti ambientali.
      Il PILA conterrà una o più unità di misura, convenzionalmente definite, in grado di misurare le esternalità positive e negative di tutti i beni e servizi rispetto all'atmosfera e all'ambiente idrico, al suolo e al sottosuolo, alla vegetazione, alla flora, alla fauna e agli ecosistemi, al paesaggio e alla salubrità dell'ambiente.
      Lo studio e la definizione della o delle suddette unità di misura convenzionali sono attribuiti all'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), che riceverà le proposte della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministri interessati, nonché delle Commissioni permanenti in materia di ambiente e in materia di bilancio della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Vorremmo evitare l'istituzione di un'apposita Commissione parlamentare, la cui complicata composizione (e la certa lunga durata) rischierebbe di dare al PILA più un significato culturale che un significato economico. Del resto, l'ISTAT è una pubblica istituzione, autonoma e indipendente, che ha già promosso attività nel senso indicato dalla presente proposta di legge (soprattutto in connessione con progetti comunitari) e può utilmente integrare il Programma statistico nazionale, approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 settembre 2005, pubblicato nel supplemento ordinario alla
 

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Gazzetta Ufficiale n. 274 del 24 novembre 2005.
      L'ISTAT potrà altresì avvalersi, per la definizione di questo strumento, della consulenza tecnico-scentifica e istituzionale di specifici organismi di supporto, nonché di esperti di settore. Esso potrà inoltre acquisire il parere delle principali associazioni ambientaliste e di altri soggetti sociali.
      In particolare, i beni e i servizi contenuti nel PIL saranno misurati in ordine alla loro capacità di contribuire, tra gli altri, all'emissione di gas serra; al risparmio energetico o al ricorso a fonti alternative di energia pulita; alla produzione o all'utilizzazione di fonti di energia rinnovabili o non rinnovabili; alla produzione di polveri sottili nelle aree metropolitane; alla produzione di inquinamento acustico o elettromagnetico; alla dispersione di idrocarburi o di altri agenti inquinanti nelle acque; alla quantità di rifiuti prodotti, alla loro tipologia, e al potenziale smaltimento degli stessi; all'impatto sul patrimonio forestale e boschivo o sul sistema delle risorse idriche; all'incentivazione del trasporto pubblico o di quello privato; alla salvaguardia delle biodiversità.
      Connaturale a questa finalità è l'obbligo previsto per il Governo di allegare tale indicatore, una volta entrato a regime, in tutti documenti finanziari e di bilancio che si avvalgono dell'indice PIL.
      Non intendiamo affrontare le complesse questioni di politica economico-finanziaria connesse all'utile dibattito sulla «crescita» (e sulla «decrescita»). Sappiamo che la crescita continua e indifferenziata non è una priorità equa e sostenibile: l'espansione continua della produzione vendibile è condizione per un aumento continuo del profitto, non della giustizia, dell'eguaglianza, della salute, dell'istruzione, della sicurezza, dei diritti. «Relativizzare il PIL» sembra una utile premessa per contribuire davvero a difendere e rilanciare uno Stato sociale ambientale, per rimettere al centro delle politiche il principio di redistribuzione e l'obiettivo della giustizia sociale.
      L'adozione di strumenti come quello previsto nella presente proposta di legge appare non ulteriormente procrastinabile. Il testo della proposta di legge riprende la proposta presentata nel dicembre 2005 da oltre 100 deputati di tutte le forze politiche dell'Unione (atto Camera 6214 - primo firmatario Calzolaio) come sollecitazione al nuovo Governo proprio per l'avvio della XV legislatura e per la predisposizione del Documento di programmazione economico-finanziaria per il 2007. Quella proposta è stata recepita nel programma di governo dell'Unione 2006-2011, che prende l'impegno di adottare un indicatore che misuri la sostenibilità ambientale. In tal senso, la proposta di legge costituisce attuazione del programma di governo.
 

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